Gli appassionati del settore lo sanno bene: dallo scorso anno, nel Bolognese, si tiene una delle più interessanti fiere del vintage nazionali: We Love Vintage, che si svolgerà dal 13 al 22 luglio ad Anzola dell’Emilia presso “Notti di Cabiria”.
La manifestazione emiliana, giuta alla seconda edizione, è diventata famosa per la sua multidisciplinarietà: non sono solo i vestiti, infatti, ad essere protagonisti della settimana e mezzo di fiera, ma un ruolo fondamentale è giocato anche dalla musica. Come ci ha spiegato il direttore artistico Gianni Venturi, infatti, il festival è il frutto di un’unione tra l’abbigliamento, con un’attenzione alla sfera socio-culturale del campo, e la musica prog/rock. Un tipo di musica che però non deve far pensare ad una manifestazione nostalgica: nell’intervista che potete sentire qua sotto, Gianni ha sottolineato come il termine progressivo debba intendere proprio una musica in divenire ed in continuo aggiornamento.
Come vi abbiamo annunciato nel post precedente, Granita Metropolitana (la trasmissione musicale estiva di Radio Città del Capo, in onda dal lunedì al venerdì all’orario di Maps), oltre a volervi tenere compagnia nei tremendi pomeriggi di luglio, vuole anche essere una guida per le vostre serate musicali. Se la volta scorsa, con Jason Swinscoe, abbiamo parlato di un concerto vicino nello spazio e nel tempo, oggi vogliamo riproporvi una chiacchierata su qualcosa che si svolgerà tra circa un mese e abbastanza lontano da Bologna, nella bella Sicilia.
Ogni anno, infatti, all’inizio di agosto, si tiene a Castelbuono – in provincia di Palermo – uno dei festival più interessanti ed innovativi dell’estate italiana: l’Ypsigrock. Per farvi capire di cosa si tratta, abbiamo contattato il suo direttore artistico, Vincenzo Barreca, e ci siamo fatti raccontare com’è nato il festival, cosa vuol dire far esibire artisti internazionali del calibro di Stephen Malkmus & the Jicks o dei Primal Scream in un contesto particolare come quello del centro storico di Castelbuono e, anche, cosa vuol dire investire su gruppi all’avanguardia che rappresentano le ultime rivelazioni del panorama musicale internazionale, come gli Alt-J o i Django Django. Potete sentire tutte le chiacchiere fatte con il direttore artistico nel file audio qua sotto, mentre potete informarvi su questo bell’evento d’inizio agosto direttamente sul suo sito internet. Buon ascolto e pronti con le valigie!
Se vi siete sintonizzati sulle nostre frequenze, in questi ultimi giorni, saprete che dalle 15.35 alle 17.00, proprio all’orario di Maps - che ha concluso la sua quinta stagione alla fine del mese scorso – va in onda una nuova trasmissione musicale estiva, Granita Metropolitana: un’ora e mezza di musica fresca, dal lunedì al venerdì, per allietare i pomeriggi afosi di chi è rimasto in città. La ricetta della Granita prevede news, dischi nuovi, tanta musica, aggiornamenti sugli eventi serali della città (che quest’anno, per fortuna, sono tanti), live in studio e chiacchiere con gli artisti. Insomma, la nostra radiolina non vi vuole lasciare soli neanche quando arrivano i vari Caronte, Scipione e Minosse e così si è adoperata per tenervi compagnia con ghiaccio, frutta fresca e buona musica fino al 13 luglio per poi riprendere – cercando di attutire il trauma da rientro dalle vacanze – nelle ultime due settimane di settembre.
Uno dei primi musicisti a visitarci durante questa prima settimana di trasmissione è stato Jason Swinscoe dei Cinematic Orchestra, che è venuto a fare un po’ di chiacchiere con noi prima del live della band al Teatro Duse di giovedì. Jason ci ha parlato del forte legame tra musica ed arte visiva che contraddistingue la band inglese, del modo in cui lui e i suoi compagni lavorano in studio – facendo coesistere, in modo interessante, jazz ed elettronica – e di come poi portino il frutto di questo lavoro nei live. Così come siamo soliti fare con Maps, anche con Granita vi riproponiamo i podcast delle interviste svolte in studio: potete ascoltare e scaricare quella fatta a Jason qua sotto, insieme a “Ode to the big sea”, il brano dei Cinematic Orchestra estratto dal loro primo disco Motion, che ha introdotto la chiacchierata.
Dopo avere ospitato di sabato le puntate diLa Sagra del… Primavera, continuiamo a parlare di ciò che è accaduto tra Barcellona e Porto ai primi di giugno. L’inviata speciale di Maps all’Optimus Primavera Sound di Porto è la nostra Marta Fantin, che ci racconta il “suo” festival.
“Il prossimo anno ci torno” Questo è il pensiero che ho avuto l’ultimo giorno di festival, a notte fonda, mentre lasciavo il Parque da Cidade.
Ma torniamo indietro.
Atterro mercoledì a Oporto per la prima edizione dell’Optimus Primavera.
Cast ridotto rispetto a quello del fratello maggiore spagnolo ma altrettanto interessante; come sempre 4 giornate di concerti che iniziano alle 16 e terminano a notte fonda.
La location, il Parque da Cidade che potrebbe tranquillamente essere cornice di un film di Gondry, si trova ad una quindicina di km dal centro ma è comodamente raggiungibile con la metro cittadina. Appena arrivata ritiro il mio pass e faccio un giro per ambientarmi. La zona cibo è scandalosa, tutte le bancarelle sono l’apoteosi del junk food: Pizza Hut, Igor la Pantera Rosada (churros e dolci fritti), Cachorrao (Hot Dog), Mega Bifanas (carne che galleggia in non so quale liquido) e KFC (sì, proprio quello dei polli). L’unico posto vagamente sano nel quale comprare del cibo è Bio Go Natural dove però tutto ha prezzi allucinanti. Peccato aver selezionato dei banchetti di così bassa qualità e poco attenti a vegetariani/celiaci ecc ecc., questo, oltre alle defezioni delle band che vi racconterò in seguito, sarà l’unico neo del Festival. Molto carina invece l’idea di creare un angolo enoteca in una zona un po’ appartata del Parco, tra panche di legno e rigogliosi cespugli verdi, che propone vini locali e Porto.
I palchi invece sono quattro, più o meno di dimensioni uguali, tre dei quali sono a distanza piuttosto ravvicinata ma vista l’ottima programmazione non c’è il rischio che l’uno vada ad interferire nell’acustica dell’altro. Un unico palco coperto, il Club, in un’area dislocata, sarà una salvezza visto il tempo piovoso che incontreremo durante i giorni di festival.
Dopo aver recuperato il programma e l’essenziale kit di sopravvivenza fornito gratuitamente dall’organizzazione (stuoino e k-way), inauguro questo festival con il concerto di Atlas Sound, il quale live mi aveva lasciata interdetta qualche anno prima a Barcellona. Stessa impressione che mi aveva fatto allora: dal vivo, da solo, non tutti i pezzi convincono. Resa ottima delle ballad ma poca efficacia per le canzoni in cui i loop sonori si intrecciano.
Il set di Yann Tiersen lo vedo dalla collinetta, in questo caso la luce del giorno penalizza il suo show che sarebbe stato sicuramente più suggestivo supportato da colori notturni se non all’interno di un auditorium.
Per i tanto acclamati The Drums sono in una buona posizione. È l’ultima data prima della fine del lunghissimo tour e la band è visibilmente provata. Next Big Thing? No, la band è a mio avviso molto deludente: i pezzi sono piatti e sembra di vedere un video su YouTube piuttosto che di assistere ad un live. Cosa ancor più fastidiosa è la presenza scenica del cantante che tenta di emulare le migliori icone Brit Pop britanniche degli anni passati. Lascio i The Drums alle proprie pose da star per andare a prendere posto tra le prime file per il concerto più atteso della giornata: Suede!
Brett Anderson è in forma smagliante, band impeccabile e set che inizia con “This Hollywood Life” e “Trash” e si chiude con “Beautiful Ones”. Cosa volere di più? Folla in estasi.
È da poco passata la mezzanotte e mancano ancora due concerti prima di concludere questa prima giornata, tra una birra Super Bock e una Sangria aspettiamo i Mercury Rev (che hanno rimpiazzato gli Explosions in the Sky)
La band di Jonathan Donahue è come sempre da manuale, un set lungo, sognante e riverberato che lancia l’arena in un viaggio che porta all’ultimo concerto della serata, quello dei Rapture.
Non sono una grande fan della band newyorkese targata DFA ma devo ammettere che il loro live è stato travolgente. Esecuzione perfetta ed energia da vendere.
Siamo alla fine, stanchissimi e con l’incognita di trovare la soluzione più veloce per tornare in centro (visto che la metro chiude all’una). Ma la perfetta organizzazione del Primavera anche questa volta si è dimostrata all’altezza della situazione, predisponendo a poche centinaia di metri dall’entrata del Festival delle navette che partono ogni 10 minuti con destinazione Porto centro.
Venerdì 29 c’è stata l’ultima puntata della quinta stagione di Maps e abbiamo davvero concluso con il botto. I tre conduttori in studio, infatti, oltre ad avere il piacere di chiacchierare con i Fine Before You Came, hanno anche avuto l’onore e il privilegio di avere i Ronin lì, oltre il vetro, intenti in un minilive splendido.
La band, con cui avevamo già parlato a lungo di Fenice, l’ultimo album che è stato anche nostro disco della settimana, ha rivelato altri retroscena della registrazione del disco. E poi ha tratto dallo stesso tre brani che sono stati riproposti in studio per il nostro e il vostro piacere, poche ore prima del bellissimo concerto al BOtanique. Godete forte!
Non possiamo completare il titolo del post per motivi di pudore (ebbene sì, siamo timidoni), ma se sentirete l’intervista a Marchino qua sotto, capirete quali sono le caratteristiche del tour estivo dei Fine Before You Came. Avevamo già sentito la band in occasione dell’uscita di Ormai e proprio da quei giorni di febbraio siamo ripartiti, per fare il punto sull’attività del gruppo.
Ecco quindi una chiacchierata ulteriore con una delle band più amate da noi di Maps e dal pubblico, che ha dimostrato quanto ama i FBYC anche qualche ora dopo la realizzazione dell’intervista, quando il gruppo si è esibito per Piazza Verdi Estate.
Musica e parole, come in tutte le canzoni? Non proprio: perché gli E.D.G.A.R. considerano le parole in maniera assai particolare, a partire dal nome/acronimo letterario tratto da un romanzo di Herta Müller. Con i due membri del gruppo, che muove i suoi passi tutto sommato di recente, abbiamo chiacchierato in maniera non troppo seriosa dei loro intenti, di come intendono il genere spoken che praticano e anche di morte, ebbene sì. Il tutto, come si diceva, legato alla parola e alla sua concezione.
Ma non pensate che di colpo Maps si sia trasformato in un’austera “terza pagina”: ascoltando l’intervista insieme al live, capirete che i due membri della band, Pocosapiens e Trif_o, sanno anche prendersi in giro. Pronti, via!
Ha fatto incontri illustri, di quelli che ti cambiano la vita, avendo modo di parlare con dei miti del folk, il genere a cui la nostra ospite ha dedicato anima e corpo: Emma Tricca, è di lei che stiamo parlando, è un personaggio musicale davvero sui generis. Italiana, ma formata nel Regno Unito, è venuta nei nostri studi per raccontarci la sua storia e suonare dei brani prima del live al BOtanique, qualche giorno fa.
Accompagnata da suo bassista, che ha sfoggiato un look che lo rendeva molto somigliante a Gaz Coombes, Emma ci è venuta a trovare a Maps e ci ha regalato tre brani, di cui uno completamente inedito. Sentite quanto le radici di Emma (il mitologico Folk Studio romano da un lato, e il giro dei club di Oxford dall’altro) si fondono in una versione filologica e personale al tempo stesso del folk.
Li attendevamo da tempo, da quando è uscito l’ultimo disco Cento giorni da oggi: preceduto da un battage soprattutto visivo, l’album (pubblicato dalla Universal) segna un certo cambiamento nei suoni e nell’estetica degli Amor Fou. Eravamo quindi curiosi di capire il passaggio da I Moralisti a quest’ultimo disco.
Di seguito, come sempre, potrete ascoltare le chiacchiere che abbiamo fatto sul disco, la produzione, i testi, ma anche alcuni brani tratti dall’album, suonati in una particolarissima versione acustica, davvero lontana (ma per questo non meno affascinante) di quelle del disco. Non solo voce e chitarra, ma anche suonini di cellulare e una scatoletta di caramelle. Non ci credete? Ascoltate, anche perché c’è una massima non da poco, nascosta nell’intervista…
Dopo avere ospitato di sabato le puntate diLa Sagra del… Primavera, continuiamo a parlare di ciò che è accaduto tra Barcellona e Porto ai primi di giugno. L’inviato speciale di Maps al San Miguel Primavera Sound di Barcellona è il nostro Alarico Mantovani, che ci racconta il “suo” festival.
Dando un’occhiata al programma ero certo che l’ultima giornata di festival avrebbe risollevato la media complessiva dell’edizione 2012. Nella giornata di sabato 2 giugno si sarebbero esibiti infatti alcuni degli artisti che mi avevano motivato maggiormente a tornare per la terza volta di fila a Barcelona.
L’anno scorso il sabato barcelonese era stato un tripudio, con la finale di Champions League trasmessa su megaschermo nell’area del Parc del Fòrum. Quest’anno, sarà la crisi economica che proprio in quei giorni mette a nudo senza pietà la fragilità della Spagna, che si guadagna ingloriosamente le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, sarà che nella Liga il Barca è stato battuto dagli odiatissimi cugini del Real, ma tutto pare molto più placido e tranquillo. Il fischio d’inizio arriva allora per me con James Ferraro e le sue ipnagogie elettroniche sul palco Pitchfork: breve e conciso ma intenso. Pianto poi le tende per un paio d’ore all’ATP per i britannici Forest Swords e Demdike Stare: devo dire che erano piuttosto alte le mie aspettative e la curiosità per quanto avrebbero fatto sentire queste che reputo tra le migliori realtà del panorama musicale di inizio decennio. Sarà che proprio in apertura di concerto devo incassare via sms e metabolizzare velocemente una terribile notizia che mi giunge dall’Italia – l’eliminazione del mio Hellas Verona dai play off – ma ci impiego un poco per calarmi nel clima suggestivo del concerto di Matthew Barnes aka Forest Swords, da Wirral, Liverpool. Tuttavia, più l’elemento dub si intensifica più il climax catartico della sue originali reiterazioni e distensioni psichedeliche si rende efficace. E alla fine il risultato è positivo. I Demdike Stare, per cui personalmente stravedo, propongono anche dal vivo la loro miscela di atmosfere post-punk inquietanti e suggestive riviste in chiave innovativa: una sorta di colonna sonora minacciosa per ambienti e immagini in bianco e nero (la rigorosa e splendida grafica delle copertine Modern Love) che trasuda una lunga e consapevole Storia di matrice etno-dub, sul sentiero che dai Cabaret Voltaire e dal Pop Group conduce a Shackleton passando per trance, isolazionismi vari e musiche ad alto tasso cinematografico. Mentre attendo la mezzanotte mi vedo i Chromatics, gruppo pressoché inutile, tra i tantissimi che al giorno d’oggi riconfezionano col fiocchettino la synth-wave degli Ottanta in modo calligrafico.
Mi sposto lateralmente facendo il passo del granchio fino al palco Vice perché ci sono i miei pupilli Dean Blunt e Inga Copeland, in arte Hype Williams. Ripropongono il live memorabile già visto l’autunno scorso al Club to Club a Torino, basato sul nuovo album uscito su Hyperdub, disco apparentemente trascurabile ma che cresce esponenzialmente con gli ascolti: fateci un pensierino, c’è uno splendido artwork ed un bel vinile rosso fuoco ad attendervi… voi e i vostri mp3 del c###o!
Dicevo: strobo a palla per tutto il concerto, roba da uscirne piumati, pardon, menomati e pars construens e destruens perfettamente bilanciate con il consueto finale violentissimo. Grandi.
Dopo una necessaria pausa in riva al mare – davvero piacevole e confortevole la press area allestita da Adidas – spicco un balzo con un colpo di reni per la volata finale. Raggiungo di gran carriera l’ATP per il Pop Group: Mark Stewart è sempre immenso e gli inconfondibili riff secchi delle chitarre della band, che ci fanno rimembrare quell’epoca in cui il Group dominava in compagnia di P.I.L. e Gang of Four sono sempre musica per le mie orecchie e grinta e rabbia che trafiggono il costato come stilettate. I pezzi ovviamente quelli classici, poetici e politici di Y e For How Much Longer… da Thief of Fire a We Are All Prostitutes… Voi che potete andate a sentirlo il grande Mark Stewart il 20 luglio in piazza Verdi a Bologna, nell’anniversario della morte di Carlo Giuliani. Massimo rispetto.
Sono già le 2.30! Corro nell’amplissimo spazio MINI, da cui si gode lo skyline notturno della città, per lo storico LFO: minchia, sembra quasi di andare ad un rave… Mark Bell ci assale letteralmente con la sua techno idm acidissima a volume monster, con bassi che squassano gli organi interni e visual straordinari, con grafica asciutta, essenziale e geometrica, colori primari.
L’inglese, reduce da quell’epoca cruciale e di snodo per l’elettronica mondiale che sono stati gli anni a cavallo tra la fine degli Ottanta ed i primi Novanta, ci regala il set più emozionante e d’impatto ditutto il Primavera Sound 2012.
Gambe in spalla, non ci si può fermare un attimo perché alle tre e mezza sono già al Ray-Ban per Neon Indian: ahhh, quanto mi gusta il suo synth pop molto 80′s ed estivo ed evocativo come la madeleine proustiana… Alan Palomo ci sa fare e allora me lo godo tutto, anche perché stiamo per arrivare agli sgoccioli… tra non molte ore dovrò già essere all’aeroporto mannaggia e dunque cerco di bere quel tanto che mi possa mantenere in vita e condurre al nuovo giorno tutto intero. Il momento culmine della sublimazione del festival arriva con il dj set conclusivo di Scuba: come si poteva immaginare moltissima techno e pochissime tracce di dubstep, tecnicamente perfetto e pregevolissimo nella selezione e nella consecutio temporum. Maestria e padronanza assoluta. Quel che ci vuole per far volare alto le migliaia di persone che ormai mezze o del tutto sbronze (ma tutte sempre amichevolissime, mai neanche una traccia di tensione, mai) ballano gioiosamente fino all’alba dando fondo alle energie residue. Cerveza beer cerveza beer cerveza beer ed è già ora di andare all’aeroporto. Come al solito indosso il braccialetto al polso sino a quando le ruote dell’aeromobile non toccano il suolo patrio. Poi zac. E’ finita la comedia.
fine
… e se ancora non ne avete abbastanza: La puntata di Thermos che Alarico ha dedicato al Festival.
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