Dopodomani i Mission of Burma arriveranno al Locomotiv di Bologna per l’unica data italiana del tour di Unsound, l’ultimo disco della band di Boston. Un paio di giorni fa abbiamo raggiunto Roger Miller al telefono, mentre la band era in giro per il Regno Unito, tra Glasgow e Leeds, per parlare con lui di cosa sono i Mission of Burma oggi, nel decennale della reunion.
La chiacchierata che potete ascoltare qua sotto è cominciata proprio da quei live del 2002, che hanno dato il via ad una seconda vita della band, dopo gli esordi a cavallo tra ’70 e ’80. Dalle parole di Miller potrete sentire che la passione che i “ragazzi” hanno è ancora viva, così come la voglia di sperimentare, ben espressa dalla varietà delle ultime canzoni. Prima che una connessione instabile ci facesse chiudere la conversazione, Roger ha speso parole di ammirazione per i Future of the Left e ci ha raccontato il suo punto di vista sulla comunità musicale di Boston, di cui avevamo parlato con Dana Colley qualche settimana fa. Insomma, una buona preparazione al live di domenica.
Lo sapete che una delle cose che più amiamo a Maps è parlare con le band che firmano il nostro disco della settimana. Ma c’è una cosa che ci piace ancora di più: sentire i brani degli album che scegliamo suonati nei nostri studi. Ecco quindi che, dopo avere intervistato la band quando You Should Reproduce è uscito, siamo riusciti a portare i tre Honeybird & the Birdies in studio qualche settimana fa, prima del live al BenTiVoglio Club.
Ecco quindi per voi la band dal vivo nei nostri studi, così com’è stata vista in diretta streaming (grazie ai nostri cameramen) da chi era collegato al sito della radio in quel pomeriggio. E non solo canzoni, ma anche un fiume di chiacchiere, scherzi, frizzi e lazzi. Trenta minuti che, ne siamo certi, risolleveranno la vostra giornata. Scommettiamo?
Un periodo storico musicale che sta avendo un’attenzione vasta e costante da qualche anno è quello compreso tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Una manciata di anni apparentemente “di transizione”, ma che in realtà sono stati molto più fondativi di quanto il prefisso “post”, “no” o “new” (applicato a “punk” o “wave”) possa e potesse fare intendere. Sebbene siano stati soprattutto Stati Uniti e Regno Unito i Paesi cardine in cui si è sviluppata questa musica realmente nuova e innovativa, anche in Italia si è sentito il fermento di quegli anni e una delle band dirompenti dell’epoca sono stati i Confusional Quartet.
Dopo un disco solamente, la band ha smesso di suonare, per ritrovarsi trent’anni dopo con lo stesso spirito libero e slegato da preconcetti, generi o obblighi. Questo è quello che ci hanno raccontato Marco Bertoni ed Enrico Serotti, con i quali abbiamo parlato del nuovo Confusional Quartet (il disco) e del rapporto tra la band oggi e le nuove generazioni, in un senso direttamente coinvolte nella produzione dell’album. Il primo singolo, “Futurfunk”, è stato infatti realizzato in collaborazione con Sir Bob Rifo (Bloody Beetroots), classe 1977. Ecco a voi la chiacchierata in studio con la band e il brano che hanno scelto per concluderla.
Questo 2012, per tanti versi, è stato un anno importante per i Giardini di Mirò: a marzo è uscito il loro disco Good Luck, di cui parlammo con la band mesi fa; sono stati tra i promotori di Abbassa!, il concerto che avete sentito anche in diretta sulle nostre frequenze. E, non contenti, hanno fatto uscire un ep, intitolato Unluck: proprio da questo titolo hanno preso le mosse le chiacchiere che abbiamo fatto in studio con la band venerdì 16 novembre, prima del live al Covo Club.
I Giardini, in tour e nei nostri studi con Laura Loriga (Mimes of Wine) e Andrea Sologni (Gazebo Penguins), ci hanno anche regalato tre brani live, due tratti dal’album e due dall’ep. Ma abbiamo anche discusso di come la crisi economica abbia colpito il mondo della musica. Insomma, vi offriamo un post ricco, che potete gustare durante questo fine settimana, che comprende audio e video (grazie a Damiana e Tonino) di un bel pomeriggio qua in radio.
L’altroieri i Deerhoof, una delle band di culto in attività da una ventina d’anni, sono arrivati a Bologna per l’unica data italiana del tour legato all’ultimo disco Breakup Song. Il Locomotiv Club ha ospitato la data di Murato che ha visto la band originaria di San Francisco entusiasmare il pubblico presente, frullando sul palco generi musicali, suoni e forme, come è lecito aspettarsi dai quattro.
Nel pomeriggio dello stesso giorno abbiamo avuto al telefono John Dieterich: insieme al patron della Unhip Records (che organizza i live di Murato insieme a RCdC) Giovanni Gandolfi, abbiamo parlato del nuovo disco, allargando il discorso all’approccio che la band ha con la sua musica. Se c’è un aggettivo legato ai Deerhoof, infatti, questo è “imprevedibile”: ma tutte queste variazioni non possono portare a insicurezze? Il chitarrista, come potete sentire qua sotto, ci ha spiegato qual è il vero approccio della band, all’insegna della libertà, più che della imprevedibilità. Oltre all’intervista anche il video della canzone che John ha scelto per chiudere l’intervista.
Sono in due: lei, Francesca “Billy” Pizzo ha suonato nei Nel Dubbio; lui, Angelo “Gelo” Casarubbia, era nei Buzz Aldrin. Insieme sono i Melampus, band che ha esordito un mese fa su Locomotiv Records con un disco interessante e personalissimo, intitolato Ode Road.
Come ci hanno spiegato nei nostri studi, il giorno prima del release party, la strada del titolo è quella in cui sono ambientati i brani del disco, ma noi crediamo che ci sia comunque una strada che i Melampus hanno deciso di percorrere, che parte dalla 4AD degli inizi, passando attraverso tappe impreviste e imprevedibili, come la rivistazione di un brano di Smog, che trovate sia nella versione fatta in studio giovedì 15 che in un video ripreso il giorno dopo al Locomotiv.
Una band da tenere d’occhio, che musicalmente non si “piega” ai suoni che più si sentono negli ultimi tempi: i Melampus cercano l’oscuro, anche a costo di sbagliare. Il tentativo di essere prima di tutto loro stessi passa anche di qua.
Sono in quattro, sono giovani e hanno un modo tutto loro di intendere il jazz, che ci ha affascinato al primissimo ascolto. Ecco a voi i Bad Uok, chitarra, piano/tastiere, batteria e trombone, con un disco in uscita a gennaio, intitolato Enter. E voi direte: allora (ri)ascoltiamo e (ri)vediamo, grazie alla premiata coppia Max&Damiana, le versioni live di quelle canzoni.
E invece no, perché la band ha voluto regalarci ben due inediti per festeggiare al meglio quello che crediamo sia il primo live jazz registrato a Maps. Un jazz elettrico e scuro, giocato sulle tonalità basse e cupe, eppure dinamico e nervoso. Insomma, ecco tutto il pacchetto: chiacchiere, foto, video, audio.
Non vogliamo né fare della retorica sulle band da scantinato, né fare pubblicità al noto programmino di editing e composizione: il punto è che i romani EilDentroeilFuorieilBox84 prendono il loro nome proprio da un box (indovinate quale numero lo identifica?) nel quale tuttora si trovano a suonare. E mica solo a suonare.
Abbiamo colto Giuseppe al telefono in un autogrill sulla strada per Bologna, poche ore prima del live all’Arteria di venerdì 9 (ne vedete un estratto qua sotto): il musicista ci ha raccontato la storia di una band che non è fatta solo di prove, ma anche di un sacco di riflessioni, discussioni e confronti. Una band concettuale? Diciamo che comunque l’ultimo La fine del potere è coerentemente incentrato su un tema ben preciso. Ma lasciamo che sia Giuseppe a dirci di che si tratta!
Nel 2003 Tim Burgess uscì con un disco a suo nome, senza The Charlatans: a quell’I Believe è seguito un silenzio solista di quasi dieci anni, fino alla pubblicazione, a ottobre, di Oh No I Love You. Dieci canzoni che narrano un periodo difficile della vita del musicista e che raccontano, ovviamente, lui stesso, ma in modo del tutto particolare. Come ha detto ai nostri microfoni qualche giorno fa, prima della data al BenTiVoglio Club, Burgess non era da solo nel processo creativo. Nei crediti del disco, infatti, compare un nome importante, quello di Kurt Wagner dei Lambchop.
Un’amicizia che è maturata, con questo album, in un sodalizio artistico… a parti invertite. Come potete sentire nell’intervista qui sotto, infatti, Wagner si è dedicato alle liriche delle canzoni, che poi sono state interpretate dalla voce inconfondibile di Tim Burgess. Un processo unico, quasi analitico, che ha dato i suoi frutti: oltre all’intervista c’è il video di “White”, la canzone che apre il disco e che, con somma sorpresa di Wagner, è diventata una piccola hit.
A sedici anni dall’esordio e a quattro dall’ultimo Long Distance, tornano i Three Second Kiss: il loro Tastyville, uscito la scorsa settimana per African Tape, è un album davvero notevole, che non potevamo non fare disco della settimana. Nove tracce che rimangono fedeli al suono tagliente e obliquo a cui la band si è legata in quasi due decadi di carriera, ma che mostrano qualcosa di nuovo nei suoni e nell’attitudine.
Abbiamo cercato di scoprirlo la scorsa settimana, quando il chitarrista dei Three Second Kiss Sergio Carlini è venuto nei nostri studi per parlare del nuovo lavoro. In una chiacchierata a metà strada tra l’analisi e l’intervista, Sergio ha sviscerato con noi Tastyville, che presto la band porterà all’ATP di Londra, insieme (tra le altre) alla band “cugina” Uzeda (vi ricordate quando i siciliani vennero a Maps?). Insieme all’intervista, il video della seconda traccia del disco “The Sky Is Mine”.
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