Senza tanti giri di parole, anche noi di Maps vogliamo ricordare una delle figure centrali e storiche della musica indipendente qua in città e non solo. Lo facciamo con le parole di alcuni amici:
Una delle più avvincenti diatribe del grunge è tutta la storia riguardante il fatto che Live Through This sia stato scritto, o non scritto, da Kurt Cobain. O se sia stato scritto solo parzialmente da lui o se abbia semplicemente suonato la chitarra in un pezzo o due e/o fatto qualche coro e/o sia passato a salutare qualche volta in studio per farsi una svelta con Courtney Love. O niente di tutto questo. Visto che la storiografia ufficiale tende a sostenere una delle ultime opzioni, non ci rimane che di ascoltare il disco più bello e famoso delle Hole e stupirci di quanto sia positivamente influenzato dalla musica dei Nirvana. Poi Kurt Cobain è morto e ha lasciato quasi tutti in un mare di merda, e se è vero che qualcuno tende alla coprofagia più degli altri, la joint-venture Courtney Love/Billy Corgan per Celebrity Skin io me la sarei anche evitata.
Del resto nel ’95 decisi di perdermi persino un concerto delle Hole nella mia città, e se pensate che un gruppo rock con un disco della madonna a Cesena nel ’95 (when i went to school in Cesena-a-a-a-a) sia roba che capita tutte le settimane, uhm, scordatevelo. Da Celebrity Skin in poi ho deciso di seguire sempre meno le vicende della band e della donna, limitandomi ad ascoltare quando arrivava qualche notizia sulla spartizione dell’eredità e sul rilascio di qualche cofanetto con inediti dei Nirvana; in tutto questo ci sono state la fine artistica e legale del gruppo, la messa in cantiere di un disco solista di Courtney Love (con Billy Frangetta Corgan ancora in pole position) e l’avvio della carriera solista di Melissa Auf Der Maur, che sarà pure una bella figa ma il disco d’esordio proprio BRRR. E ho quasi paura a pensare che questo non sia il peggio a cui l’umana comprensione può arrivare, così che ho deciso di non prestare ulteriore attenzione alle vicissitudini dei membri del gruppo.
Resettando il cervello e passando oltre, in ogni caso, è notizia relativamente recente (diciamo da sei mesi a questa parte) che Courtney LOL, probabilmente per il solo brivido di farlo, ha iniziato a parlare di una reunion della band e di un tour per il prossimo anno. Tra l’altro è già assicurata una data italiana, ai Magazzini Generali di Milano il 19 febbraio, per la quale – per dieci o dodici minuti – ho già pensato di comprar biglietti e cercare di convincere qualcuno. Magari Courtney sbrocca e si mette a cantare una cover di My Heart Will Go On, o qualsiasi altra cosa senza senso da attrice barra musicista. Te l’immagini? Urghm.
Come ci racconta in questa video Sawyer, uno dei ragazzi della Underwater Peoples, il giorno di natale sull’ottimo blog Chockolate Bobka si potrà scaricare la terza free compilation della label di Washington. Chi segue Ducktails, Real Estate, Pill Wonder, Alex Bleeker e Julian Lynch sa che sarà imperdibile!
Lo si è detto tante volte: le note sono sette – anzi, dodici – ed è inevitabile che, al momento di metterle insieme, si finisca per creare qualcosa di già fatto in precedenza, anche se non lo si conosce. Allo stesso modo, neanche le lettere dell’alfabeto – o, meglio ancora, le parole – sono infinite; quindi può succedere, quando arriva la fatidica ora di dare un nome alla propria band, di sceglierne qualcuno già in uso. Con il risultato non soltanto di creare confusione, ma anche di generare dispute legali.
Nella storia del rock vi sono alcuni casi abbastanza celebri in tal senso. Il primo e forse più importante è quello che vede uniti da omonimia ma separati geograficamente e temporalmente due band battezzatesi Nirvana.
Della compagine guidata da Kurt Cobain non c’è molto da dire. Lasciamo allora che a parlare siano musica e immagini:
Doveroso invece approfondire la conoscenza con quelli che negli Stati Uniti vengono chiamati Nirvana UK. Formatisi a Londra nel 1967 dall’incontro tra l’irlandese Patrick Campbell-Lyons e il greco Aex Spyropoulos (chitarrista uno e tastierista l’altro, entrambi cantanti). Senza stare a entrare troppo nel merito di una vicenda discografica non delle più semplici, va comunque detto che gli album The Story Of Simon Simopath (1967) e All Of Us (1968) sono tra i momenti più alti del pop psichedelico inglese, come dimostra il brano qui sotto (tratto dal primo dei due dischi).
Ora, a volerla dire tutta, magari gli inglesi potevano risparmiarsi di far causa a Cobain e soci per via della ragione sociale identica, ma questa è tutta un’altra questione…
Tornano gli Ok Go con un altro video divertente e assai particolare.
Il clip è diretto da Tim Nackashi e la canzone WTF è tratta dal nuovo album Of the Blue Color of the Sky. Ovviamente come tutti i video degli Ok Go, merita di essere visto quindi… eccolo qui!
Barbie sta per compiere 50 anni e va a festeggiarli a Shanghai.
Il primo flagship store dell’intramontabile bambola ha aperto i battenti in Huai Hai Lu, una delle principali vie dello shopping.
Da un progetto Mattel, Ogilvy & Mather e Slade Architecture NYC, la Barbie DreamHouse è diventata realtà. I cinque piani di pareti morbide e sinuose dedicati a Barbie is hero si sviluppano attorno ad una scala elicoidale per l’esposizione degli ultimi modelli, come un caleidoscopio di bambole in scatole trasparenti. Un intero piano è riservato alle bambole per tutte le novità, i pezzi da collezione, gli abiti da sposa Vera Wang e l’angolo Design Center per creazioni personalizzate. Per le ragazze invece Everything girl ha pensato a tutto: abiti, gioielli, acconciature, trucco e infiniti gadgets marcati con la B rosa e il profilo ponytail; e poi il muro delle caramelle, i set per foto e video, la Barbie® SPA ed il Barbie® Café.
La scorsa settimana, a proposito del nuovo lavoro di Grant Hart, si è tirata in ballo la parola garage. Una parola, o per meglio dire un (sotto) genere, su cui ritorniamo ora più che volentieri per occuparci brevemente di una oscura – ma venerata dagli appassionati – formazione statunitense degli anni ’60, i Balloon Farm.
Nati sul finire degli anni ’60 nel New Jersey dalle ceneri degli Adam (formazione con all’attivo un solo singolo, favolosamente intitolato Eve), i Balloon Farm esordiscono sul finire del 1967 con il 45 giri A Question Of Temperature, su etichetta Laurie. Un brano che, per molti versi, rappresenta la quintessenza del garage sound: ritmiche sostenute, chitarre sature di fuzz, colate di organo Hammond e un cantato vagamente minaccioso. Abbastanza per farne un successo, o quanto meno per farlo entrare nella Top 40 statunitense. Peccato però che il singolo seguente, contenente la più raffinata Hurry Up Sundown, si sia rivelato un flop, portando di fatto la band allo scioglimento. Sarebbero ritornati brevemente in pista i Balloon Farm, pubblicando un singolo con l’infelice ragione sociale di Huck Finn, per poi separarsi definitivamente e sparire. Tutti tranne uno, il cantante e chitarrista Mike Appel, che qualche anno più tardi sarebbe diventato il manager di una giovane speranza del rock a stelle e strisce: costui.
Col passare del tempo, però, il nome dei Balloon Farm non è mai stato dimenticato, e a partire dagli anni ’80 è divenuto oggetto di culto, grazie principalmente a A Question Of Temperature, inclusa in numerose compilation e ripresa da molti artisti o gruppi, anche non di ambito strettamente garage, come dimostra questa cover realizzata nel 1982 dai Lords OF The New Church.
E comunque, ascoltata oggi, Hurry Up Sundown non era poi così male…(En passant: Kaleidoscope ricomincia martedì alle 23.30, sempre sulle frequenze di Città del Capo – Radio Metropolitana; e nella prima puntata si parlerà anche dei Balloon Farm).
Ansia da palcoscenico: è la prima volta che scrivo qualcosa sul blog di qualcuno. L’importante è cominciare. O no. Torno indietro di vent’anni: avevo dodici anni, mi scaccolavo e sognavo di fare i bacini con la mia vicina di banco. Riprendendo i vent’anni che avevo scremato, la mia vicina di banco ha due figli piccoli. Il padre non sono io. Buona notizia. Mi piace pensare di non esserlo perché mentre qualcuno dalle mie parti ha ragionevolmente puntato su un futuro di case, famiglie, procreazioni e programmi TV io sono stato raso al suolo e ricostruito ex-novo dall’essere entrato in contatto con una band di Aberdeen, WA che faceva uscire il disco d’esordio su Sub Pop mentre io mi scaccolavo e sognavo di limonare con la mia compagna di banco. E da lì in poi, ehm, fine, fatta, morta lì. Terra bruciata, ricomincio da zero e quant’altro. Alcuni hanno avuto modo di traccheggiare abbastanza per riconoscersi nel primo singolo dei Radiohead, io mentre loro cantavano “i’m a creep” cantavo “i’m a negative creep“. E se non capite la differenza vuol dire che non amate il suono di una chitarra, nel qual caso potete passare al post sotto.
Nel 1989 Kurt Cobain era ancora Kurdt Kobain. Per celebrare il ventennale del mio scaccolarmi in seconda media, il 3 novembre uscirà un’edizione deluxe di Bleach composta da due dischi. il primo è il disco originale così come lo conosciamo, prodotto da Jack Endino e rimasterizzato per l’occasione. Il secondo contiene un live dell’epoca, precisamente al Pine Street Theatre di Portland. Non so come suonerà, ma mi fido. Tutto quel che è venuto dopo è post-Bleach. Il post-Bleach comprende amori, fidanzate, camicie, dischi di Daniel Johnston, dischi di chiunque altro, stare bene stando male, In Utero e tutte quelle cose. Daddy’s little girl ain’t a girl no more. In conclusione: avete mai fatto il giochino di mettere la copertina di Bleach al positivo con Photoshop? Allego immagine.
PS: questo, come scritto sopra, è il mio primo post per il blog di Maps. Molto piacere. Mi chiamo Francesco, ma l’altro Francesco ha accampato sacrosanti diritti esclusivi sul nome di battesimo.
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